Una clausola abusiva può rendere nullo il contratto stipulato tra un
consumatore e un professionista. E’ quanto stabilisce la Corte di Giustizia
dell’Unione Europea nella sentenza odierna, in cui precisa che la direttiva
comunitaria 93/13 tende ad eliminare le clausole abusive contenute nei
contratti con i consumatori, salvaguardando ove possibile la validità del
contratto nel suo complesso.
La norma prevede che le clausole abusive di un contratto imposte dal
professionista non vincolino il consumatore. Per essere considerata
abusiva una clausola deve essere in contrasto con il requisito della buona fede
e deve determinare, a danno del consumatore, un significativo squilibrio tra i
diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto. Un contratto
contenente una clausola abusiva resta comunque vincolante per le parti, se può
continuare a sussistere senza la clausola.
La sentenza della Corte si inserisce nel caso di due signori
slovacchi che hanno ottenuto un credito di circa 5.000 euro da un istituto di
credito al consumo. Nel contratto stipulato con i clienti, infatti,
era indicato un TAEG (il tasso annuo effettivo globale) al 48,63% mentre,
secondo il calcolo effettuato dal giudice slovacco, ammontava in realtà, al
58,76%. I signori in questione hanno quindi fatto ricorso e, come rilevato dal
giudice nazionale, nell’ipotesi di dichiarazione di nullità i consumatori
sarebbero tenuti a versare soltanto gli interessi di mora, al tasso del 9%, e non
l’insieme delle spese per la concessione del credito, che sarebbero ben più
elevate di tali interessi.
La direttiva Europea, quindi, ammette una normativa nazionale che
permetta di dichiarare la nullità complessiva di un contratto contenente
una o più clausole abusive, qualora ciò risulti garantire una migliore
tutela del consumatore. Secondo la
Corte , infine, una pratica commerciale che indica in un
contratto di credito un TAEG inferiore a quello reale costituisce una falsa
informazione da qualificare come pratica commerciale ingannevole
ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali del 2005,
poiché è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione
di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
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